È stato firmato nel 2023 un Patto tra Prefettura e Sindaci della Provincia di Pesaro e Urbino per la costituzione di un sistema integrato di video-sorveglianza urbana.
Non è però presente sui siti istituzionali dei Comuni, né su quello della locale Prefettura, alcun documento che informi i cittadini in maniera precisa in merito.
La rete di videosorveglianza Sophia continua intanto ad allargare la sua portata, e sul sito prefettizio il 27 marzo scorso si informava di un accordo per l’uso integrato anche delle videocamere degli uffici di Poste Italiane sul territorio, e l’intenzione di mettere in rete anche sistemi privati. Nell’accordo si legge che la rete “…consente la puntuale ricognizione e geolocalizzazione delle telecamere sul territorio e la gestione integrata dei dati, strumenti fondamentali per l’attività investigativa e di prevenzione”. Centinaia di videocamere in rete per l’attività investigativa ma con che regole? Chi ha accesso ai dati e per quali finalità? Chi conserva i dati? Chi garantisce che nelle “attività di prevenzione” non sia inclusa la raccolta dei dati biometrici dei volti dei cittadini? Chi detiene le “liste” dei sorvegliati? E quale soggetto ha l’appalto di gestione della piattaforma informatica e di intelligenza artificiale?
Chiariamo una cosa: la videosorveglianza non è garanzia di sicurezza, può essere utile per rintracciare una persona che ha compiuto gravi reati (ricorderete la ricerca dell’omicida Turetta nella sua fuga verso nord), o semplicemente per trovare una bici rubata. Ma non si svende la garanzia di privacy e la libertà personale in nome di questo. Perché, se usata per il riconoscimento facciale in tempo reale e in accoppiata per l’intelligenza artificiale, la videosorveglianza è un pericoloso strumento di controllo sociale “preventivo”. La biometria, come dato personale, può anche essere strumento di manipolazione dell’identità delle persone, perché una volta raccolto pare non essere contestabile, un poco come una firma di proprio pugno o un Dna. Per questo occorre molta prudenza nell’uso di questi sistemi “guardoni”, che rischiano di trasformare la nostra società in un sistema di controllo ossessivo dall’alto. Se le videocamere possono essere utili a “vedere i reati” ricordiamo che quelli sono osservati come oggetti siamo tutti noi. Ciò è stato sottolineato in Europa dalla recente campagna Reclaim your Face.
La condotta di prudenza è stata inoltre stabilita in Italia dal parere del Garante per la Privacy del 2021 (n.127), in particola modo per la orwelliana sorveglianza in tempo reale, indicando che “…il trattamento di immagini volte ad identificare soggetti nell’ambito della pubblica sicurezza è un argomento di estrema delicatezza e, pertanto, necessita di un’attenta ponderazione d’insieme, al fine di evitare che singole iniziative, sommate tra loro, definiscano un nuovo modello di sorveglianza”.
Per questo, vista anche la disposizione dell’Atto della Unione Europea in tema di valutazione di impatto di questi sistemi, il collettivo di studiosi/e ed attivisti/e Obbligo digitale, ha lanciato mesi fa una petizione online per sostenere un Accesso agli atti, con lo scopo di invitare Prefettura e Provincia di Pesaro e Urbino a pubblicare regolamento e specifiche della rete di videosorveglianza Sophia, come previsto dalle linee guida europee sulla protezione dei dati personali (2017) e sull’uso dell’Intelligenza Artificiale (2024). La richiesta di accesso agli atti è stata consegnata il 29 luglio 2024 e del suo esito verrà data notizia sulla stampa e sui siti web che sostengono l’iniziativa.
Obbligodigitale.it
Sul web anche la petizione di partenza dell’iniziativa:
https://www.change.org/p/chiediamo-limiti-e-trasparenza-nella-videosorveglianza