Le tecnologie digitali non sono solo uno strumento a disposizione di persone e aziende per svolgere alcune attività, sembrano essere diventate un “quasi-diritto” (per fortuna non ancora un obbligo) a fronte del quale lo Stato investe ingenti risorse per costruire una rete di servizi come Pubblica Amministrazione appaltati ad aziende private (come nel caso dello SPID) mentre famiglie e aziende possono/devono integrare con l’acquisto di ulteriore strumentazione “smart” per ogni tipo di attività.
Come la TV e l’automobile i mezzi digitali non sono solo strumenti ma canali di creazione di nuova cultura e di nuovi stili di vita. Diversamente dalla TV, però, si tratta di strumenti bidirezionali, in cui i dati non solo arrivano ma anche vengono fagocitati. Diversamente dall’automobile l’uso non è limitato agli adulti ma praticamente consentito ad ogni età. Diversamente da entrambi questi strumenti sanno anche interagire con l’utente (talvolta adottando modalità accattivanti) e si evolvono in modo assai più rapido del livello medio di alfabetizzazione digitale.
“Immaginate che su questo pianeta esista una pianta con crescita spontanea e abbondante, in grado inoltre di produrre frutti particolarmente nutrienti. Immaginate ancora che uno solo di questi frutti una volta ingerito basti a soddisfare il fabbisogno nutritivo/energetico di un singolo soggetto per più di un mese.
Come cambierebbe il nostro orizzonte cognitivo e dunque la nostra idea di collettività ? Ci servirebbe lavorare? Ci servirebbe una società strutturata come la nostra? E ancora, come sarebbero le relazioni tra gli esseri umani? Esisterebbero le guerre?
Ora immaginate che esista una tecnologia in grado di ridurre il vostro quotidiano fabbisogno energetico. Immaginate che esista una tecnologia in grado di permettervi “soddisfacenti” relazioni interpersonali con decine e decine di esseri umani sparsi per il globo terracqueo con il minimo sforzo e stando comodamente seduti in casa.” (da “Cosmogonia“)
Che ne sarà dei nostri figli che ereditano senza beneficio di inventario il titolo futurista (ma non troppo futuro) di cittadini digitali? Seguono sotto alcuni spunti di riflessione che abbiamo rozzamente estrapolato dalla interessante ed esaustiva pubblicazione online TEMPI DIGITALI – Atlante dell’infanzia (a rischio) in Italia 2023 curata da Save the Children, dove potrete trovarli esposti in modo più accurato ed equilibrato.
Chi volesse approfondire l’argomento può leggere anche lo studio redatto dal Centro Dipendenze dell’Istituto Superiore di Sanità sullo sviluppo di dipendenza patologica nella “Generazione Z”, qui il documento, o seguire la petizione lanciata da Cittadinanza Attiva sulla applicazione dell’articolo 5 della legge 92/2019 riguardante l’impegno nella scuola pubblica per “l’educazione alla cittadinanza digitale” a questo link.
Adulti che non resistono alla tentazione di guardare il cellulare quando arriva una notifica, chiedono ai figli di non frequentare i social media. Regalano lo smartphone per controllarli, salvo lamentarsi del suo uso eccessivo. Mettono i figli davanti a un tablet per zittirli, al ristorante o in una sala d’attesa, salvo poi stupirsi che vogliano passare più tempo davanti a uno schermo.
Il digitale potrebbe essere uno stimolo per la scoperta, per la voglia di fare e per lo sviluppo della fantasia se usato alla presenza degli adulti, limitato nel tempo e contestualizzato in attività fisiche e di scoperta più ampie. Invece bambini e adolescenti sempre più precocemente vivono in un ambiente pervaso da internet, computer e videogiochi. L’utilizzo di dispositivi digitali da parte di soggetti in età evolutiva può influenzare la sicurezza, il benessere psichico e anche le interazioni familiari, interferendo nella relazione genitore-bambino e anche bambino-bambino. Anche la delega della funzione genitoriale di un ruolo intimo quale raccontare la storia della buona notte può confondere. È stato dimostrato un impatto sullo sviluppo cognitivo, linguistico ed emotivo. I sistemi digitali possono avere un effetto negativo sull’apprendimento, sullo sviluppo, sul sonno, sulla vista e sull’apparato muscoloscheletrico, oltre a poter determinare fenomeni di vera e propria dipendenza”.
Gli adulti sono preoccupati dei brutti incontri che i figli possono fare online ma il fenomeno dello “sharenting”, ovvero il condividere sui social contenuti che riguardano i propri figli, dilaga. Forse non sanno che si perde la proprietà delle foto una volta caricate sui social e che è difficile ottenere la rimozione dei contenuti postati. Anche non volendo guardare agli scenari peggiori, non si possono ignorare altri gravi rischi a cui lo sharenting espone bambine e bambini: dalla violazione della privacy, a un possibile danno emotivo, dall’accesso illegale ai loro metadati, al fenomeno della persistenza online, al digital kidnapping, con l’appropriazione di foto ed altro, sino al vero e proprio furto d’identità.
La dimensione digitale è ingorda di dati personali, li fagocita e accumula, li processa attraverso soluzioni tecnologiche sempre più evolute che consentono di realizzare profili sempre più affidabili di ogni utente per ricavarne conoscenza sui nostri gusti, le nostre inclinazioni, i nostri pregi, i nostri difetti, persino le malattie delle quali, magari, soffriamo senza saperlo, malattie che, ormai, in taluni casi, possono essere rivelate semplicemente lasciando che un algoritmo passi al setaccio una foto dei nostri occhi o di un altro qualsiasi particolare del nostro corpo. Rendere la macchina antropomorfa è una strategia commerciale che permette di far superare la sfiducia rispetto al trattamento dei dati personali: la voce femminile, il tono rassicurante rientrano in questa strategia. Il microfono dello smartspeaker, collegato ad internet, può ascoltare tutte le conversazioni che avvengono in casa o al lavoro. Che fine fanno questi dati sensibili, comprese le voci dei bambini?
La selezione algoritmica dei contenuti altera le dinamiche di potere fra uomo e macchina e in taluni casi la capacità di scelta risulta ridotta a priori. Prendendo ad esempio le storie della buona notte in teoria potremmo avere accesso a una biblioteca infinita di contenuti, ma i contenuti che siamo in condizione di scegliere o che ci vengono proposti sono limitati. Stiamo vivendo l’inizio di una nuova epoca in cui l’intelligenza artificiale verrà sempre più usata per processi decisionali. I dati dei nostri bambini potranno essere aggregati, scambiati, venduti e trasformati in profili digitali e verranno sempre più utilizzati per giudicarli e per decidere aspetti fondamentali della loro vita. Dati e algoritmi predittivi possono essere fortemente discriminatori nei confronti del bambino e poi del giovane adulto, dall’accesso all’istruzione, alle opportunità di lavoro, all’ottenimento di un credito, con il rischio (quasi una certezza) di ancorarlo alle condizioni sociali ed economiche di provenienza in una sorta di apartheid digitale che blocca l’ascensore sociale, linfa di una società delle opportunità.
Chi gestirà (gestisce) questi processi e, soprattutto, a chi li rettificherà quando non funzionano? Cosa si farà quando una decisione presa dall’automazione è sbagliata? Si tratta di un aspetto fondamentale, di una seconda trincea, e lì deve intervenire l’essere umano.
Finiti gli spunti di riflessione.
La Commissione Europea ha definito visione, obiettivi e modalità per conseguire la “trasformazione digitale dell’Europa” entro il 2030. Sono 50 i miliardi previsti nel PNRR per la transizione digitale, in realtà molti di più poiché il digitale pare essere l’investimento prediletto in tutti i settori economici e sociali, e implementa un nuovo tipo di economia totalmente basato sulle connessioni 5G, lo scambio di dati, la dipendenza dalle holding private del settore, e la stessa dipendenza totale dal digitale che nei minori giustamente temiamo.
Cosa possiamo fare noi adulti qui e ora? Come sta cambiando la nostra società ?